INTRODUZIONE

La malattia cardiovascolare aterosclerotica rappresenta tutt’oggi una delle principali cause
di morbilità e mortalità, soprattutto nel mondo occidentale. Il modo più importante per prevenirla è
promuovere uno stile di vita sano, in particolare intervenendo sui principali fattori di rischio
cardiovascolare modificabili rappresentati da fumo, diabete, obesità e dislipidemia. È altresì
importante il riconoscimento precoce dei pazienti a rischio alto di malattia, basato sulla valutazione
di parametri clinici, strumentali e laboratoristici come i valori di colesterolo LDL.
I trattamenti disponibili sono molteplici e caratterizzati da buoni profili di efficacia e sicurezza
nonché, spesso, anche da un basso costo.
Con il termine dislipidemia si fa riferimento ad una serie di alterazioni della quantità di lipidi (grassi)
presenti nel sangue, in particolare trigliceridi e colesterolo.

LIPIDI E LIPOPROTEINE

I lipidi nel sangue circolano legati a proteine, dette per l’appunto lipoproteine, distinte in base alle
percentuali di colesterolo, trigliceridi e componenti proteiche che contengono. Si distinguono
principalmente:
Chilomicroni: trasportano i grassi ingeriti con l’alimentazione dall’intestino al fegato e sono
composti principalmente da trigliceridi;
HDL: sono lipoproteine ad alta intensità, con bassa concentrazione di colesterolo e più
elevata componente proteica, il cui compito è quello di rimuovere il colesterolo dai tessuti e
trasportarlo al fegato.
LDL: sono lipoproteine a bassa densità, composte maggiormente da colesterolo, il cui
compito è proprio quello di trasportarlo ai tessuti periferici; elevati livelli di LDL aumentano il
rischio di formazione delle placche aterosclerotiche.
VLDL: hanno una densità ancora più bassa di proteine rispetto alle LDL e sono ricche di
trigliceridi, che hanno il compito di trasferire dal fegato ai tessuti.

CAUSE DI DISLIPIDEMIA

Le alterazioni nel metabolismo delle lipoproteine portano a elevati livelli di colesterolo circolante,
altamente pericoloso per la salute dell’organismo. Le cause di dislipidemia sono classificabili come:
Primarie: dovute essenzialmente a mutazioni genetiche che provocano disregolazione importante del metabolismo lipidico. Si parla in questo caso di ipercolesterolemie familiari, con forme più severe perchè trasmesse in omozigosi e forme meno gravi in eterozigosi.
Secondarie: sono provocate da alterazioni nello stile di vita (ad esempio aumentato apporto
con la dieta) ma anche da patologie predisponenti come diabete mellito, malattia renale
cronica, ipotiroidismo, epatopatia ecc.
Miste: rappresentate dalla coesistenza di alterazioni genetiche e forme secondarie.

SINTOMI

Di solito, valori elevati di grassi nel sangue non provocano alcuna sintomatologia diretta. Tuttavia, se i
livelli circolanti sono particolarmente alti, i grassi possono depositarsi nei tessuti e scatenare una
serie di sintomi.
Ad esempio il loro accumulo nella pelle e nei tendini, provoca la formazione di protuberanze dette
xantomi (sottocutanei o tendinei) o xantelasmi (accumulo di colesterolo sulle palpebre). Talvolta, i
soggetti sviluppano un anello di colorazione bianca o grigiastra lungo il margine esterno della cornea
detto arco corneale (o gerontoxon). Livelli molto elevati di trigliceridi, invece, possono indurre
epatomegalia o splenomegalia, parestesie a mani e piedi, difficoltà respiratorie e possono aumentare il rischio di pancreatite, una malattia che può causare gravi dolori addominali e, se complicata, può
risultare letale.

Figura: dall’alto verso il basso, xantelasmi palpebrali ed arco corneale (o gerontoxon).

Tuttavia la conseguenza più pericolosa dell’alterazione dei livelli di colesterolo nel sangue è la forte
predisposizione a malattie cardiovascolari aterosclerotiche come la formazione di placche vascolari
(ad esempio carotidee) e l’infarto del miocardio.

ATEROSCLEROSI E INFARTO MIOCARDICO

L’aterosclerosi è una condizione patologica caratterizzata da alterazioni della parete delle arterie, che
perdono la propria elasticità a causa dell’accumulo di colesterolo, cellule infiammatorie, calcio e  materiale fibrotico. Questo accumulo provoca la formazione di placche che, nelle fasi avanzate, possono impedire il corretto approvvigionamento di sangue nei distretti a valle, provocando ischemia e morte del tessuto; quando questo accade a livello coronarico si parla di infarto del miocardio.
L’azione terapeutica ipolipemizzante, dunque, contribuisce in maniera importante alla riduzione del
rischio di eventi cardiovascolari tra cui ictus ed infarto del miocardio.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Il rischio cardiovascolare del paziente si calcola tenendo conto dell’area geografica di appartenenza,
dell’età, del sesso, dell’abitugine tabagica e dei valori di pressione arteriosa e colesterolo Non-HDL.
Esistono inoltre dei parametri denominati modificatori del rischio: ad esempio l’aumento della
proteina ApoB e/o della Lp(a), la presenza di albumina nelle urine, l’evidenza di placche carotidee o femorali all’ecocolordoppler o di calcio nelle coronarie all’esame TC, aumentano il rischio cardiovascolare calcolato.
È di fondamentale importanza istruire il paziente circa la differenza tra colesterolo totale e
colesterolo LDL, vero protagonista in negativo della malattia, nonché sull’esistenza di diversi target di
colesterolo da raggiungere in base ai profili di rischio del soggetto.
I soggetti a rischio alto come pazienti affetti da ipertensione arteriosa non controllata, malattia
renale cronica di grado moderato o diabete mellito con danno d’organo, dovrebbero mirare a valori
di colesterolo LDL < 70 mg/dl. I soggetti a rischio molto alto come pazienti con pregresso infarto o affetti da  severa malattia renale cronica, dovrebbero avere valori di colesterolo LDL < 55 mg/dl.

DIAGNOSI E TERAPIA

I valori di colesterolo possono essere misurati mediante un semplice prelievo ematico. Sebbene sia
importante avere consapevolezza di tutto l’assetto lipidico del paziente, è il valore di colesterolo LDL
che ha il maggiore impatto prognostico e che, di conseguenza, rappresenta il parametro su cui
intervenire per ridurre il rischio cardiovascolare  Numerose sono le terapie disponibili allo stato attuale e sono rappresentate da:


STATINE: agiscono interrompendo la produzione epatica di colesterolo mediante l’inibizione
dell’enzima HMG-CoA; quelle ad alta intensità (atorvastatina e rosuvastatina) possono
produrre una riduzione dei valori di colesterolo LDL fino al 50% circa. Il loro effetto collaterale
più comune è rappresentato dalla miopatia ed è anche il motivo che più spesso provoca la
sospensione della terapia.
EZETIMIBE: è un farmaco che blocca l’assorbimento intestinale di colesterolo e, in
associazione alla statina, provoca una ulteriore riduzione di circa il 15-20% del valore di
colesterolo LDL; molto rari gli effetti avversi.
INIBITORI della proteina PCSK9: sono anticorpi monoclonali di derivazione umana che agiscono
bloccando la proteina PCSK9, il cui ruolo è quello di legare i recettori epatici delle LDL
permettendo la loro internalizzazione e successiva degradazione; la sua inibizione provoca la
persistenza di questi recettori sulla superficie epatica con conseguente maggiore rimozione
di colesterolo dal circolo ematico. L’associazione di questo farmaco alla terapia con statine ed
ezetimibe aumenta la riduzione di LDL fino a circa l’85%.
ACIDO BEMPEDOICO: è un profarmaco, attivato a livello del fegato, che impedisce la sintesi
del colesterolo in un punto più a monte rispetto all’azione delle statine; l’alta selettività
epatica riduce quasi del tutto effetti avversi come i crampi muscolari.
INCLISIRAN: l’inclisiran è un nuovo farmaco appartenente alla classe dei siRNA (short
interfering RNA) ed agisce bloccando l’RNAm codificante per PCSK9 e, di conseguenza,
impedendo la sintesi; avendo eliminazione prevalentemente renale andrebbe posta
attenzione nei pazienti con malattia renale cronica seppure non siano previsti aggiustamenti
della dose.
In linea teorica statine, ezetimibe e PCSK9i andrebbero aggiunti mediante un approccio step-by-step ma in situazioni particolari come ipercolesterolemia familiare, intolleranza alle statine o pazienti con evento cardiovascolare acuto, si può pensare ad una associazione sin dal principio.

CONCLUSIONI

Il controllo delle alterazioni del metabolismo lipidico è importante per la riduzione del rischio
cardiovascolare, soprattutto nei soggetti a rischio aumentato. Oltre ad una diagnosi tempestiva è
fondamentale la corretta identificazione del rischio cardiovascolare del paziente e la scrupolosa
gestione dei valori di colesterolo tramite corretta alimentazione, costante attività fisica e adeguata
terapia ipolipemizzante.

 

Contatta l’esperto in merito a questo argomento

 

Dott. Nicola Di Nunno
Medico in Formazione Specialistica in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare
Università degli Studi di Foggia
Policlinico Riuniti – Foggia

Dott. Riccardo Ieva
Specialista in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare
Dirigente Medico – Responsabile Unità Terapia Intensiva Coronarica
UOC Cardiologia – UTIC
Policlinico Riuniti – Foggia