Tra le numerose sfaccettature e campi d’interesse della Cardiologia, vi è una branca, spesso dimenticata, in primis dagli stessi cardiologi ed in secondo luogo dai pazienti, rappresentata dalla cardiologia riabilitativa.

Mentre altre forme di riabilitazione, come, ad esempio, quella neurologica od ortopedica, rappresentano delle pratiche consolidate di qualsiasi protocollo sanitario, la riabilitazione cardiologica viene spesso sminuita: ciò è testimoniato dal fatto che non si ha la stessa attenzione nell’indirizzare pazienti cardiopatici verso gli specialisti di tale disciplina.

Questo si scontra con quanto affermato dalle linee guida Europee, le quali, infatti, raccomandano fortemente la partecipazione di tutti i pazienti che abbiano avuto un infarto del miocardio (soprattutto nel periodo post-dimissione ospedaliera) e pazienti affetti da scompenso cardiaco (in particolare a frazione d’eiezione ridotta).

Negli ultimi anni, c’è stata una crescente attenzione nei confronti del trattamento interventistico delle sindromi coronariche acute (SCA), aspetto che ha favorito un netto beneficio in termini di prognosi dei pazienti colpiti da tali patologie; al contrario, invece, l’attenzione nei confronti delle immediate fasi post-SCA non ha seguito la stessa evoluzione.
Differenti studi hanno dimostrato come la non aderenza da parte del paziente alle raccomandazioni da seguire nella fase che successiva ad un evento cardiovascolare, lo espongano, inevitabilmente, ad un rischio maggiore di svilupparne un secondo. Per tale motivo, indirizzare il paziente verso i protocolli della cardiologia riabilitativa e preventiva, già al momento della dimissione dal reparto, diventa un obiettivo primario.

Il motivo è facilmente intuibile: lo scopo della cardiologia riabilitativa dev’essere quello di mettere in pratica una serie di differenti interventi che garantiscano una continuità nella gestione clinica del paziente così da non “abbandonarlo” nelle fasi che seguono un evento patologico così importante.
Questi interventi sono principalmente rappresentati da:

  • Ottimizzazione terapeutica: il paziente che lascia il reparto dopo un lungo ricovero porta con sé al domicilio tanti farmaci quanti dubbi ad essi collegati; avere la possibilità di seguirlo successivamente consente di gestire la terapia farmacologica e di scegliere i dosaggi più adeguati e specifici per quel paziente (che, talvolta, potrebbe significare anche ridurre e non soltanto incrementare).
  • Valutazione dei rischi e delle comorbidità: monitorare gli altri aspetti della patologia del paziente, che, in maniera indipendente, potrebbero evolvere e peggiorare, cercando in questo modo di garantire una gestione a 360°;
  • Attività fisica ed alimentazione: tutti i pazienti cardiopatici, sebbene con programmi ed intensità differenti, possono sicuramente giovarsi dell’attività fisica, in grado di garantire un miglioramento della sintomatologia e della capacità di svolgere le principali attività quotidiane.
  • Follow-up: seguire il paziente nel corso del tempo, offrendo un supporto anche di natura psicologica.

Questi obiettivi possono essere perseguiti mediante l’attuazione di un intervento multidisciplinare, che comprenda, da un lato, il controllo ottimale di tutti i fattori di rischio cardiovascolare e, dall’altro, un adeguato programma di attività fisica, costituito da esercizi aerobici e di resistenza, personalizzati in base alle caratteristiche del paziente e standardizzato in uno specifico numero di settimane e di sessioni da completare.

Il motivo o, meglio, i motivi per cui implementare la partecipazione a tali protocolli derivano da alcuni studi presenti in letteratura: lo studio GOSPEL, ad esempio, che ha dimostrato come un intervento riabilitativo multifattoriale consenta di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari e, nel dettaglio, recidive di infarto del miocardio.

Allo stesso tempo, l’attività fisica, correttamente organizzata e standardizzata dallo specialista in termini di intensità e di durata dello sforzo fisico, può favorire un incremento del flusso sanguigno e dell’ossigenazione, migliorando, in tal modo, sia la sintomatologia del paziente sia la sua possibilità di espletare le principali attività quotidiane.

La domanda del paziente, quindi, sorge spontanea: ma quale tipologia di attività fisica è maggiormente adatta per me? Nella maggioranza dei casi, questa sarà rappresentata da una camminata sostenuta o da attività sportive aerobiche, come il nuoto o il tennis, mentre, al contrario, sarà sconsigliata la pesistica e, in generale, qualsiasi sforzo fisico esplosivo e non progressivo. In ogni caso, dev’essere sicuramente abolito il “fai-da-te”: qualsiasi scelta inerente la pratica fisica (così come gli altri aspetti del percorso riabilitativo del paziente) dev’essere condivisa con il medico, in modo tale da evitare i rischi associati ad eventuali scelte autonome inadeguate.

Una volta deciso di volervi partecipare, è necessario sapere anche dove è possibile accedere a tali programmi: ad oggi, i principali processi di riabilitazione vengono svolti in ambienti riabilitativi dedicati, organizzati in modo da garantire una degenza del paziente, oppure in ambito ospedaliero mediante accessi in Day Hospital. Ecco perché la strada migliore risulta quella di informarsi ed organizzare tale percorso già al momento della dimissione, così da poter scegliere il percorso più adeguato.

Negli ultimi tempi, nell’ottica di incrementare la platea di pazienti arruolabili, si è iniziato a parlare anche di teleriabilitazione domiciliare mediante l’utilizzo di dispositivi elettronici, come computer e smartphone.

Infine, il punto probabilmente più importante: qual è il paziente da indirizzare a questi programmi? Abbiamo già citato sia il paziente ischemico, sottoposto a procedure di rivascolarizzazione percutanea oppure chirurgica, sia il paziente affetto da scompenso cardiaco; allo stesso modo, possono intraprendere questo percorso anche pazienti in fase post-trapianto o successivamente all’impianto di un dispositivo di assistenza ventricolare; ancora, infine, il paziente sottoposto ad interventi dedicati al trattamento di valvulopatie severe.

Identikit del paziente:

·       Post-procedura di rivascolarizzazione (sia percutanea sia chirurgica);

·       Paziente affetto da scompenso cardiaco;

·       Post-trapianto cardiaco;

·       Post-impianto di dispositivo di assistenza ventricolare;

·       Post-intervento di severe valvulopatie.

 

In definitiva, quindi, la cardiologia riabilitativa è un’arma che può risultare determinante per la prognosi e, soprattutto, per la qualità di vita del paziente. Infatti, sebbene le terapie farmacologiche abbiano fatto dei grossi passi avanti negli ultimi anni, c’è da sottolineare come non tutti gli aspetti del benessere fisico del paziente possano essere migliorati esclusivamente con l’utilizzo del farmaco giusto: a ciò, infatti, va aggiunta un’attenzione complessiva dell’esigenze del paziente che, affetto da tali patologie, è inevitabilmente un paziente fragile.

L’obiettivo di questa lunga descrizione della cardiologia riabilitativa è di voler stimolare l’attenzione del paziente ad una maggiore consapevolezza del proprio iter diagnostico-terapeutico; una larga parte della nostra salute psicofisica è determinata non soltanto dalle più adeguate strategie farmacologiche, ma anche (ed anzi soprattutto) dalla cura verso i molteplici aspetti del nostro organismo: dall’aspetto alimentare a quello dell’esercizio fisico, fino ad arrivare al benessere mentale. Così il paziente, consapevole ed informato, può aiutare ad aiutarsi.