Introduzione

Il bypass aortocoronarico è un intervento cardiochirurgico finalizzato alla rivascolarizzazione delle arterie coronarie in pazienti affetti da cardiopatia ischemica ad indirizzo chirurgico. 

La chirurgia coronarica nasce con il chirurgo italo-argentino René Favaloro, il quale il nel maggio del 1967 a Cleveland, nello stato dell’Ohio, eseguì il primo by-pass aorto-coronarico per rivascolarizzare il miocardio ischemico.

 

 

 

Il bypass aorto-coronarico consiste nella creazione di nuovi circoli mediante l’innesto di graft, ovvero condotti arteriosi o venosi autologhi (prelevati dallo stesso paziente), che consentono di aggirare le stenosi presenti a livello delle coronarie permettendo così al sangue di raggiungere il muscolo cardiaco a valle. Immaginiamoci pertanto la coronaria come una strada interrotta ed il By pass come una strada alternativa che porta il sangue oltre l’interruzione.  Le ultime linee guida del 2018 sulla rivascolarizzazione miocardica consigliano di preferire condotti arteriosi, laddove possibile, soprattutto in soggetti giovani. I condotti arteriosi utilizzati sono l’arteria mammaria interna o toracica interna, di solito la sinistra, per questioni anatomiche, o entrambe se lo stato di salute del paziente lo permette. Altri condotti arteriosi utilizzati sono l’arteria radiale, prelevata dall’avambraccio e l’arteria gastroepiploica destra in casi estremamente rari.  Il condotto venoso maggiormente utilizzato è la vena grande safena che viene prelevata dall’arto inferiore.

 

Prelievo dei condotti necessari per l’intervento

 

Arteria mammaria interna. L’arteria è posizionata all’interno del torace ed ha un decorso parallelo al margine esterno dello sterno. Una volta aperto lo sterno, grazie all’utilizzo di un divaricatore sternale, l’arteria viene staccata dalla parete del torace con un bisturi elettrico e divisa alla sua estremità distale. La parte superiore dell’arteria mammaria interna rimane collegata a un ramo dell’aorta, l’arteria succlavia, da cui origina, e l’estremità inferiore viene suturata all’arteria coronaria al di sotto della stenosi.

 

Arteria radiale. La radiale è una delle due arterie, insieme all’ulnare, che consente l’apporto di sangue a muscoli e nervi dell’avambraccio e della mano, per cui prima di procedere al prelievo è necessario valutare, mediante il test di Allen, se l’arteria ulnare è in grado di vicariare da sola la funzione di entrambe. Controindicazioni all’uso dell’arteria radiale sono la presenza di un’arteria ulnare insufficiente, malattia di Raynaud, pregressi traumi al braccio, insufficienza renale, bassa pressione sanguigna preoperatoria, arterie radiali troppo piccole, lavori che richiedono particolare destrezza manuale. Per il prelievo dell’arteria radiale viene eseguita una incisione sull’avambraccio, lungo il decorso dell’arteria. Il vaso viene esposto e rimosso dal braccio. Il by-pass viene eseguito collegando una estremità del vaso all’aorta o all’arteria mammaria interna (Y graft) e l’altra all’arteria coronaria, al di sotto della stenosi.

 

Vena grande safena.  Per il prelievo della safena l’incisione iniziale è eseguita di solito 1 cm sopra il malleolo interno. Esistono diverse tecniche per il prelievo, tra cui quella con incisioni multiple di lunghezza di 2-3 fino ai 6-7 cm inframezzate da ponti di cute sana oppure la tecnica con un’unica incisione continua; di solito la porzione prossima al ginocchio viene sempre risparmiata per evitare deiscenza di ferita con la trazione meccanica dei movimenti del ginocchio. La vena prelevata viene divisa in uno o più segmenti. L’estremità inferiore della vena è poi suturata sull’aorta e quella superiore, invece, è collegata all’arteria coronaria al di sotto della stenosi: questa inversione è necessaria affinché il flusso di sangue che passerà all’interno della vena non incontri resistenze dalle valvole a nido di rondine presenti all’interno della safena stessa.

 

Esecuzione dell’intervento

Per poter eseguire correttamente un intervento di bypass aortocoronarico è necessario prima di tutto accedere alla regione in cui è accolto il cuore, ossia il mediastino. Per far ciò c’è bisogno di aprire lo sterno grazie all’utilizzo di una sega. Viene successivamente inciso il pericardio e si arriva così ad avere una buona esposizione del cuore. Il momento successivo è il prelievo dei condotti arteriosi e/o venosi necessari per l’intervento secondo le modalità sopra elencate. Una volta prelevati, si passa al tempo centrale, ovvero alle anastomosi dei condotti sulle coronarie malate. Per anastomosi si intende il collegamento mediante punti di sutura del condotto prelevato sulla coronaria e/o sull’aorta. Se viene usato un segmento di vena safena, un’estremità della vena è collegata all’aorta e l’altra all’arteria coronaria, al di sotto dell’ostruzione. Se viene usata l’arteria mammaria, questa viene isolata dalla parete interna del torace e l’estremità distale è poi suturata all’arteria coronaria, oltre l’ostruzione.

Esistono due tecniche chirurgiche diverse:

  • a cuore fermo, grazie ad una soluzione chiamata cardioplegia, la quale fa sì che il cuore si arresti in diastole e che venga protetto dalla mancanza di apporto di sangue temporaneo, vicariando momentaneamente la funzione di pompa del cuore e di ossigenazione dei polmoni con la circolazione extracorporea.
  • a cuore battente, ovvero non arrestando il cuore, ma utilizzando uno stabilizzatore cardiaco che consente di eseguire i bypass sul cuore che continua a battere, non avendo così necessità di utilizzare la circolazione extracorporea.

Una volta confezionate tutte le anastomosi e valutata la pervietà dei graft si passa alla fase di emostasi, ovvero alla fase di individuazione ed eliminazione di eventuali fonti di sanguinamento. Verrà messo temporaneamente un elettrodo collegato ad un pacemaker esterno sulla superficie del cuore che potrà rendersi necessario per eventuali alterazioni del ritmo che possono essere presenti dopo intervento cardiochirurgico.

Si posizionano tubi di drenaggio temporanei, pericardico, mediastinico e se necessario pleurico, per evacuare eventuali sanguinamenti e si vanno poi a ricostruire i rapporti anatomici che erano stati momentaneamente persi per accedere alla visualizzazione del cuore. Dunque, si riaccosta il pericardio inciso mediante punti di sutura e lo sterno mediante punti di acciaio staccati, di solito da 6 a 8.

 

Cosa succede dopo l’intervento?

 

Alla fine dell’intervento, il paziente andrà in Terapia Intensiva dove sarà tenuto costantemente sotto controllo. La permanenza media in terapia intensiva è di circa 48 h e l’obiettivo principale in queste ore è quello di mantenere tutti i parametri i vitali stabili ed evitare ogni possibile complicazione aiutando così l’organismo a superare lo stress dell’intervento.

Quando le condizioni cliniche generali miglioreranno al punto di non necessitare più di cure intensive verrà trasferito nel reparto di degenza, dove permarrà in media per altri 4-5 giorni prima della dimissione.

 

 

 

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Dott. Antonio Pio Montella

Assistente in formazione specialistica in Cardiochirurgia

Università della Campania “Luigi Vanvitelli”
U.O.C. Cardiochirurgia – Ospedale Monaldi