La stagione dello sci volge al termine, ma non è mai troppo tardi per una passeggiata in montagna.

Sono migliaia le persone che, ogni anno e soprattutto in questi mesi, vanno oltre i 2.500 metri di altezza. Sull’ European Heart Journal sono state pubblicate le raccomandazioni cliniche per l’esposizione ad alta quota di persone con condizioni cardiovascolari preesistenti.

Un documento redatto da un team internazionale di ricercatori destinato ai medici, ma realizzato per rispondere ai dubbi di chi ama la montagna, e non intende rinunciarci anche se soffre di una patologia cardiovascolare.

 

Lo chiamano “Mal di Montagna”: capiamo cos’è

Il mal di montagna è la manifestazione della difficoltà di adattamento dell’organismo all’alta quota e si manifesta con cefalea, nausea, affaticabilità e disturbi del sonno quando si va su rapidamente.

Con l’aumento dell’altitudine si riduce la pressione atmosferica e di conseguenza diminuisce la pressione di ossigeno nell’aria. In montagna si riduce l’ ossigeno dell’aria inspirata, quanto più si sale in quota.

A 3000 metri manca già il 30% di ossigeno, un’altitudine questa che risulta a rischio per gli anziani, spesso affetti da malattie croniche come ipertensione arteriosa, diabete mellito, pregresso ictus o infarto del miocardio in trattamento farmacologico.

Si viene cioè a creare un ambiente ‘ipossico’ in cui la tolleranza all’esercizio fisico si riduce. In queste condizioni è piuttosto comune la comparsa del cosiddetto mal di montagna”. É una condizione benigna e transitoria ma che qualche volta può evolvere in forme più gravi. In particolare se si hanno patologie cardiocircolatorie.

 

Quali rischi per i cardiopatici oltre i 2500 metri

La vacanza in montagna aiuta per il clima, il relax che si crea con le passeggiate, l’ambiente fresco e rilassato.

Ma attenzione se si è avuto un ictus o si è stati colpiti da infarto: salire a quote elevate è sconsigliato, soprattutto se sono trascorse meno di quattro settimane dall’evento acuto. E non solo perché conviene rimanere vicini al centro di cura, ma anche per evitare di trovarsi di colpo in condizioni esterne che possono mettere in difficoltà la circolazione.

Particolare attenzione devono prestare i pazienti che soffrono di gravi ostruzioni coronariche: c’è il rischio che le richieste di maggior apporto di ossigeno non possano essere soddisfatte. Per questo è importante che, anche in presenza di una malattia coronarica, questa non sia così grave da compromettere un maggior apporto di sangue al cuore come durante lo sforzo.

Sulla base di quanto riportato in letteratura,  i pazienti con malattia coronarica, che a livello del mare non presentano sintomi, nel caso abbiano una buona capacità lavorativa, una normale frequenza cardiaca e una normale pressione arteriosa durante la prova da sforzo, possono soggiornare in montagna e praticare, nella stagione estiva, l’escursionismo fino ad altitudini che raggiungono, ma non superano i 3000 metri.

 

Cardiopatici ad alta quota: consigli utili

Tutti i pazienti affetti da malattie dell’apparato cardiocircolatorio devono valutare con attenzione la possibilità di andare in alta montagna, insieme al proprio medico di fiducia: spesso è possibile,  ma solo a patto che si seguano alcune regole di base.

Ecco le regole da seguire stilate dagli esperti:

  1. Occhio al clima. Gli anziani sono più sensibili al freddo e sono a rischio di ipotermia. Anche d’estate in montagna è possibile imbattersi in fenomeni atmosferici improvvisi con rapido abbassamento della temperatura anche di dieci e più gradi; è dunque utile equipaggiarsi in modo corretto prima delle gite.

 

  1. Accertarsi di essere in condizioni cliniche stabili. Se c’è stato un infarto al cuore o una ischemia, oppure è stata effettuata procedura di rivascolarizzazione (angioplastica, by pass) far passare almeno 6 mesi prima di considerare ascese in quota.

  1. Attenzione ai liquidi. I recenti cambiamenti climatici stanno determinando temperature molte elevate anche a quote prossime ai 3000 metri. È quindi necessario approvvigionarsi del giusto quantitativo di acqua per la gita che si vuol fare e valutare bene i punti di rifornimento, fontanelle, rifugi o altro, presenti sul percorso. Una corretta idratazione è necessaria per mantenere l’equilibrio dinamico tra l’apporto e la perdita di acqua, soprattutto durante l’esposizione ai forti raggi del sole di montagna, in mancanza del quale può presentarsi un importante rischio per la salute, tale da condurre anche ad insolazioni o, nel peggiore dei casi, a colpi di calore. L’acqua, bevuta a piccoli sorsi ad intervalli frequenti senza aspettare di avere sete, è ciò di cui il nostro organismo necessita per mantenere un buono stato di salute, elemento insostituibile nei processi vitali di idratazione e termoregolazione.

 

  1. Se si assume una terapia, come nel caso di chi soffre di pressione alta, valutare caso per caso se vada modificata in quota su consiglio del medico. Questo è il caso soprattutto per pazienti con un elevato rischio cardiovascolare, per i quali una destabilizzazione in quota potrebbe rappresentare un problema. Non è il caso del giovane iperteso a basso rischio, per esempio, per il quale anche un rialzo pressorio in quota di pochi giorni non rappresenta un vero problema.

 

  1. Non ascendere troppo velocemente. Se si pensa di soggiornare in quota per più di 6-7 ore, salire progressivamente, con lentezza.

 

  1. Curare l’alimentazione, che deve essere leggera, con acqua, sali minerali, vitamine, contenuto bilanciato di zuccheri, proteine e grassi in forma digeribile. Evitare fumo di tabacco e alcoolici.

 

  1. Non stancarsi troppo, una volta raggiunta la quota non fare attività fisica intensa immediatamente, ma prendersi un periodo di riposo e acclimatazione (24 ore almeno).

 

  1. Per il resto, se partite, informatevi sulla presenza, nel luogo di destinazione, di un pronto soccorso. Ovviamente è consigliabile portare con sé le medicine in quantità sufficiente e, per chi deve seguire un trattamento anticoagulante orale, anche l’ultimo schema di terapia prescritto. Attenti alle cadute, soprattutto se si assumono anticoagulanti orali.

 

A cura del dott. Andrea Antonio Papa