Cos’è la coronarografia?

La coronarografia è l’esame diagnostico che permette di visualizzare i vasi che portano il sangue al cuore, evidenziarne il percorso ed eventuali restringimenti. 

In caso di evidenza di stenosi coronariche o coronarie chiuse, è possibile effettuare durante tale procedura anche l’angioplastica percutanea per risolvere eventuali ostruzioni presenti. 

I pazienti che devono essere sottoposti a coronarografia sono sostanzialmente di tre tipi:

  1. paziente con sindrome coronarica acuta (infarto del miocardio e angina instabile);
  2. pazienti con sindrome coronarica cronica che hanno evidenza di ischemia ad un test provocativo (test da sforzo, ecostress, tomoscintigrafia miocardica) oppure i pazienti con sospetta ischemia ed esame  coro-TAC che evidenzia lesioni significative;
  3. pazienti che devono essere sottoposti ad intervento di cardiochirurgia in modo da risolvere nella stessa procedura anche eventuali lesioni coronariche mediante  bypass aorto-coronarico.

Come si effettua la coronarografia?

La coronarografia è un esame invasivo che si effettua inserendo dei cateteri diagnostici attraverso un accesso arterioso

Percorrendo l’aorta a ritroso si giunge in aorta ascendente e si raggiunge il piano valvolare aortico, dove si trovano le porte di ingresso dei vasi coronarici (osti coronarici). 

Abbiamo abitualmente 3 coronarie che partono dai 2 osti sulle cuspidi aortiche (salvo i casi con anomalie coronariche congenite): 

  • arteria coronarica destra che irrora ventricolo destro e parete inferiore e posterolaterale (questo accade in circa 80% della popolazione che presenta la condizione di dominanza destra);
  • arteria coronarica di sinistra che parte con un tratto unico definito “tronco comune” e si divide in arteria interventricolare anteriore (irrora la faccia anteriore del ventricolo sinistro ed apice) ed arteria circonflessa (fornisce sangue alla parete laterale). In circa il 20% della popolazione con dominanza sinistra la circonflessa fornisce anche la parete postero laterale ed in alcuni casi anche quella inferiore.    

Per entrare nel circolo arterioso si punge selettivamente un’arteria periferica e si inserisce un introduttore arterioso attraverso il quale entrano tutti i materiali per la coronarografia e per l’eventuale angioplastica. 

L’arteria che attualmente deve essere preferita è quella radiale, eccetto i casi in cui l’operatore non preferisca l’accesso femorale per particolari condizioni cliniche (lesioni particolarmente difficili, instabilità emodinamica del paziente ect) o nei casi in cui l’arteria radiale non sia percorribile. 

L’arteria radiale infatti, presenta un calibro notevolmente inferiore a quello della femorale (consentendo con difficoltà, il percorso dei materiali) ma è gravata da un minor tasso di complicanze. In caso di impossibilità ad utilizzare anche arteria femorale si possono pensare accessi alternativi che saranno discussi nella sezione dedicata. 

Una volta arrivati sul piano valvolare aortico con un filo guida si inseriscono i cateteri diagnostici che sono diversi per la coronaria destra e la coronaria sinistra a seconda della curva che presentano in punta (come mostrato dalla figura sopra). 

Dopo aver ingaggiato l’ostio coronarico corrispondente si inietta attraverso i cateteri del liquido di contrasto (mezzo di contrasto iodato), grazie al quale si opacizzano le coronarie e vengono visualizzate dall’operatore che intanto esegue una sorta di registrazione radiografica continua. 

Questo è molto importante perché ci permette di capire due punti fondamentali che rappresentano dei potenziali rischi:

  1. La coronarografia utilizza un mezzo di contrasto che potenzialmente può determinare alcune reazioni allergiche ed arrecare danno alla funzione renale che va ovviamente controllata dal personale sanitario sempre prima di una coronarografia (eccetto i casi di emergenza dove in primo luogo è a rischio la vita del paziente).
  2. La coronarografia si esegue utilizzando raggi X (radiazioni) con un rischio biologico, seppur minimo, sia per il paziente e per l’operatore sanitario (che indossa sempre camice piombato, dal momento che ogni giorno effettuano tale esame e la loro esposizione cronica è a maggiore rischio). 

Cosa si vede durante coronarografia?

Come detto precedentemente, la coronarografia permette di vedere l’albero coronarico ed eventuali by-pass arteriosi e venosi (se paziente già precedentemente operato chirurgicamente). 

Una volta opacizzate le coronarie appaiono come dei tubicini neri (solitamente 3 tubicini maggiori, ognuno dei quali può presentare sue diramazioni). 

Ci possiamo trovare di fronte a 3 possibilità: 

  1. Il paziente non presenta restringimenti e si definisce l’albero coronarico del paziente esente da lesioni.
  2. Il paziente presenta delle placche aterosclerotiche che non determinano restringimenti critici del lume vasale.
  3. Il pziente presenta restringimenti critici o subocclusivi del lume vasale. 
  • Nel primo caso il paziente ovviamente non deve effettuare nessun trattamento riperfusivo. 
  • Nel secondo caso sarà l’operatore a valutare visivamente la lesione e a seconda della sua esperienza decidere il da farsi. Oggi il cardiologo interventista ha a disposizione numerosi strumenti per meglio caratterizzare le lesioni intermedie e per decidere se trattarle o meno. Questi dispositivi si dividono in tecniche di imaging intravascolare IVUS e OCT) e di valutazione funzionale (FFr, IFR, VFR etc) che saranno trattati in sezioni a parte. 
  • Nel terzo caso, ossia se la lesione è critica si dovrà decidere se trattarla con angioplastica percutanea (in cardiologia definita dalle sigle PCI o PTCA) o con rivascolarizazzione chirurgica (By pass aorto coronarico). L’angioplastica è una tecnica che prevede la disostruzione del vaso con palloncino e stent (ampiamente spiegata nella sezione dedicata). In alcuni casi per l’elevata complessità anatomica non è possibile risolvere le stenosi coronariche per via percutanea (con i cateteri) e si deve ipotizzare intervento di cardiochirurgia di By pass aorto coronarico (BPAC). Esistono anche dei particolari casi dove la stenosi o l’occlusione non viene trattata dall’operatore e si preferisce la sola terapia medica anti ischemica.

Nell’immagine sottostante A  possiamo osservare una arteria coronarica destra senza lesioni significative e nella B  una coronaria discendente anteriore con alcuni restringimenti evidenziati dalle frecce rosse.

 Rischi e complicanze

Anche se attualmente la coronarografia è considerata un esame di routine, ciò non vuol dire che sia una procedura a rischio zero. 

Rappresenta sempre una metodica invasiva cardiologica che prevede inserimento di cateteri endovascolari nel torrente arterioso fino a giungere a livello cardiaco. 

Le complicanze più frequenti sono anche quelle meno gravi, ossia quelle legate al sito di puntura periferico dove possono manifestarsi ematomi, emorragie, fistole artero venose, pseudoaneurismi (complicanze più temibile in questo caso è l’emorragia retroperitoneale)

Solitamente le complicanze del sito di accesso si risolvono con una buona compressione e solo raramente richiedono intervento riparativo di chirurgia vascolare. 

Le complicanze più rare ma possibili sono l’ischemia cerebrale, le aritmie e gli infarti periprocedurali che possono essere legati all’accesso dei cateteri, talvolta traumatico all’interno delle coronarie. 

Si può morire effettuando una coronarografia? 

Purtroppo essendo un esame di cardiologia interventistica, come tutti, anche la coronarografia presenta alcune complicanze che seppur molto rare, possono essere potenzialmente fatali: aritmie ventricolari, dissezione aortica e arresto cardiocircolatorio. 

Ovviamente queste complicanze sono estremamente rare < 0.1 % dei casi ma devono farci riflettere sul fatto che spesso la coronarografia sia sottovalutata e debba essere eseguita solo se assolutamente necessaria. 

L’ infarto del miocardio e l’ischemia miocardica rilevante tuttavia sono delle condizioni che se non trattate (eseguendo in primis una coronarografia) possono condurre alla morte del paziente e pertanto in questi casi la coronarografia è assolutamente necessaria, nonostante gli eventi avversi che possono verificarsi. 

Alla fine della procedura si esegue compressione nei siti di puntura oppure si utilizzano alcuni sistemi di chiusura endovascolare (che verranno trattati nella sezione dedicata agli accessi arteriosi). 

Durante la procedura spesso si utilizza la terapia anticoagulante con eparina sodica per evitare una temibile problematica che si chiama trombosi da catetere, ossia che si formi materiale trombotico all’interno del tubicino che noi inseriamo nel torrente arterioso e che in alcuni casi potrebbe disseminare al suo interno. 

Contatta l’esperto in merito a questo argomento.

 

Dott. Mario Crisci
Cardiologo Emodinamista, esperto in diagnosi e terapia della cardiopatia ischemica

Dirigente Medico I livello
UOC Cardiologia interventistica
AORN dei Colli – Ospedale Monaldi
Napoli