Perché usiamo i farmaci antiaggreganti

I farmaci antiaggreganti trovano impiego, principalmente, nei pazienti affetti da malattia coronarica ostruttiva. In questa patologia, la presenza di placche nelle coronarie predispone all’infarto del miocardio. Infatti, quando la placca si attiva, stimola la formazione di un trombo che compromette l’apporto di sangue al cuore, con grave pericolo per la vita del paziente. In casi specifici di malattia coronarica, il trattamento migliore è rappresentato dal bypass aorto-coronarico (CABG). Il CABG è un intervento cardiochirurgico che ha l’obiettivo di ripristinare la perfusione delle regioni cardiache a rischio di un insulto ischemico.  Esso consiste nell’impianto di condotti vascolari (arteriosi e/o venosi) in un punto della coronaria colpita a valle dell’ostruzione.

Come agiscono i farmaci antiaggreganti e quali sono

Questa classe di farmaci agisce sulle piastrine. Esse sono elementi figurati del sangue, il cui compito è di iniziare il processo di riparazione quando si verifica un danno della parete dei vasi sanguigni secondario a traumi o a patologia aterosclerotica. La funzione degli antiaggreganti è di impedire che questo processo chiamato “aggregazione piastrinica” avvenga, prevenendo le conseguenze ostruttive della modificazione di una placca coronarica. Inoltre, hanno un’azione protettiva sui condotti impiantati durante CABG, prevenendone l’occlusione. Questa classe di farmaci è molto ampia ed eterogenea ed include medicine che agiscono secondo diversi meccanismi d’azione. L’Acido Acetilsalicilico (ASA – Cardioaspirin), ad esempio, impedisce l’aggregazione piastrinica inibendo l’enzima ciclo-ossigenasi. Sono, invece inibitori del recettore piastrinico dell’ADP, P2Y12, farmaci quali Clopidogrel (Plavix), il Prasugrel (Efient) ed il Ticagrelor (Brilique). Il Tirofiban (Aggrastat), è invece un antagonista del recettore piastrinico GPIIb/IIIa.

 

Gestione pre-operatoria della Doppia Terapia Antiaggregante

La gestione preoperatoria della terapia antiaggregante è molto delicata. Infatti, bisogna contemporaneamente ridurre il rischio ischemico senza incrementare il rischio di sanguinamento post-chirurgico. Nel paziente in doppia terapia antiaggregante, in previsione di un intervento cardiochirurgico, è raccomandato proseguire la terapia con ASA ma di sospendere gli inibitori del recettore P2Y12. A seconda delle caratteristiche farmacologiche il tempo di sospensione varia dai 3 giorni per il Ticagrelor, ai 5 giorni per il Clopidogrel e fino ai 7 giorni per il Prasugrel. Quando tale sospensione si associa ad un elevato rischio ischemico per il paziente, essi possono essere sostituiti da un antiaggregante a breve durata d’azione (Tirofiban). Quest’ultimo viene somministrato per via endovenosa e ha il vantaggio di poter essere sospeso a poche ore dall’intervento. È possibile valutare nel periodo pre-operatorio l’effetto degli antiaggreganti mediante un test di laboratorio noto come Aggregometria (ASPItest e  ADPtest). Il risultato del test dovrebbe essere considerato per guidare il tempo dell’intervento, al fine di ridurre il rischio emorragico post-operatorio.

Quando è indicata la Doppia Terapia Antiaggregante dopo Chirurgia Cardiaca

L’ASA rappresenta il caposaldo della terapia antiaggregante. In casi specifici, ad esso va associato un secondo farmaco antiaggregante. Nella valutazione della doppia terapia antiaggregante, è l’”Heart Team” (Il Team del Cuore) che ha il compito di stabilire il rischio individuale del paziente. Questo rischio è costituito da complicanze ischemiche o emorragiche. Esse dipendono da:

  • patologie associate (ad esempio, eventuale presenza di malattie genetiche che comportano difetti della coagulazione, oppure storia di recente ictus o di malattia ulcerosa peptica, patologie che aumentano il rischio di un sanguinamento potenzialmente fatale);
  • numero e tipo di condotti impiantati (eventuale impianto di condotti venosi: essi si associano ad un maggior rischio di occlusione nel tempo rispetto ai condotti arteriosi);
  • eventuale presenza di stent coronarici

Le linee guida contemplano infatti vari scenari clinici

  • Nel paziente che si sottopone ad intervento di chirurgia cardiaca, in doppia terapia antiaggregante dopo impianto di uno o più stent coronarici, è ritenuto sicuro reintrodurre subito in terapia la doppia antiaggregazione e di continuarla fino alla sua durata raccomandata.
  • Per i pazienti che hanno avuto una Sindrome Coronarica Acuta (STEMI o N-STEMI, Infarto del Miocardio), trattati con doppia terapia antiaggregante e per i quali non c’è la necessità di assumere una terapia anticoagulante a lungo-termine, è considerato sicuro dopo intervento cardiochirurgico di CABG riprendere la doppia terapia antiaggregante fino a 12 mesi.
  • Inoltre, nei pazienti con un pregresso infarto, che sono considerati ad alto rischio di sanguinamento e che si sottopongono a CABG, la sospensione dell’inibitore P2Y12 dovrebbe essere considerata dopo 6 mesi.
  • Mentre, nei pazienti considerati ad alto rischio ischemico con un pregresso infarto del miocardio e un intervento di CABG, che hanno tollerato la doppia terapia antiaggregante senza complicanze emorragiche, il trattamento con due farmaci antiaggreganti può essere considerato per un periodo superiore ai 12 mesi, fino anche a 36 mesi.

 

Dott. Luigi Vitale

Medico in formazione specialistica in Cardiochirurgia

Università degli Studi della Campania “L. Vanvitelli”